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Basi teoriche

L’orientamento teorico-metodologico della Scuola è di tipo Cognitivo-Comportamentale.

All’interno di una cornice metodologica e operativa scientifica vengono integrate le teorizzazioni, le strategie e le tecniche maturate in campo clinico nell’ambito della Analisi Comportamentale Applicata (ABA) con le nuove acquisizioni teoriche e pratiche della Terapia Comportamentale e Cognitiva e delle esperienze e della prassi clinica degli approcci Evidence-Based.

 
Radici teoriche

In maniera più specifica le radici e i riferimenti del nostro modello teorico-applicativo possono essere individuati nelle seguenti scuole di pensiero:

  • gli studi sul condizionamento classico, sul condizionamento operante e sull’apprendimento cognitivo complesso sviluppati da di fisiologi come Secenov, Pavlov, Bechterew e dai loro allievi a da psicologi come Thorndicke, Watson, Skinner e numerosi altri studiosi della psicologia dell’apprendimento;
  • gli studi dell'intercomportamentismo di Kantor (1959) integrate in maniera sintetica e funzionale in un sistema che declini i principi generali in chiave evolutiva;
  • il lavoro dei terapeuti e psicologi del comportamento come Wolpe, Majer, Eysenck, Lazarus, Bandura, Staats, Lieberman, Rotter, ed altri che hanno dimostrato l’efficacia dell’analisi e modificazione del comportamento nella prassi clinica e psicoterapeutica e hanno determinato la strutturazione di un nuovo modello teorico applicativo per la cura e la terapia dei disturbi emotivi e del comportamento che va sotto il nome di behavior modification;
  • la psicoterapia cognitiva sui comportamenti covert, emotivi e cognitivi, attuata da parte di psicologi come Ellis, Beck, Kanfer, Mahoney, Meichenbaum, Marks etc. e le successive elaborazioni con altre teorie psicologiche quali la teoria dell’attaccamento di Bowlby, la conoscenza tacita di Polani, l’epistemologia evolutiva di Maturana e Varela e la fenomenologia di Kelly che hanno determinato la strutturazione di modelli psicoterapeutici cognitivi di tipo post-razionalista e costruttivista;
  • i contributi di altri orientamenti (psicodinamico, sistemico-relazionale, etc.) evidence-based orientati che a livello clinico o sperimentale hanno evidenziato una chiara efficacia psicoterapeutica nella modificazione e/o risoluzione dei problemi.


Il Modello Cognitivo - Comportamentale permette l’analisi e la descrizione del comportamento e la definizione funzionale di leggi riguardanti:

  • il cambiamento delle interazioni organismo-ambiente, come quelle che si verificano nei processi di apprendimento e di sviluppo;
  • il cambiamento delle topografie comportamentali (pensieri, emozioni, comportamenti) come quelle che si verificano nell’acquisizione-perdita di abilità e capacità;
  • la tesaurizzazione del comportamento che ha luogo nelle attività mnesiche (riconoscimento, ricordo e rievocazione);
  • la generalizzazione o il transfer delle interazioni acquisite;
  • i processi che si verificano in situazioni motivazionali, emozionali e conflittuali;
  • l’analisi e la descrizione del funzionamento emozionale e cognitivo;
  • l’individuazione di una specifica metodologia di ricerca per indagare quanto sopra descritto;
  • la derivazione dai principi teorici di procedure e metodi per la ricerca applicata e l’intervento.

 

Apprendimento

Il comportamento (motorio, cognitivo, emotivo, relazionale) è concepito come il risultato di fattori continuamente interagenti quali l'eredità genetica, l'effetto degli eventi passati (o storia psicobiologica individuale), la situazione in cui si trova l’individuo e la struttura cognitiva.
L’organismo si presenta alla nascita con un patrimonio di schemi innati di tipo riflesso e motorio che gli permettono di affinare i meccanismi percettivi e motori e di elaborare una primitiva conoscenza di sé e dell’ambiente attraverso la sua esplorazione.

Le interazioni organismo-ambiente rafforzano e coordinano gli schemi innati pre-esistenti e attraverso precoci forme di apprendimento strutturano comportamenti elementari funzionali e finalizzati alla sopravvivenza e all’adattamento.

Successivamente, l’acquisizione di configurazioni di stimoli con peculiari relazioni logico-causali e proprietà di elicitare specifici comportamenti e l’acquisizione di abilità sempre più complesse, organizzate in maniera sistematizzata e funzionale nella forma di repertorio comportamentale, avviene attraverso le leggi del condizionamento classico e del condizionamento operante e con i principi da essi derivati quali la associazione, generalizzazione, la discriminazione, l’estinzione, il rinforzo , il rinforzo -, la punizione, le schedule di rinforzamento (vr, fr, etc.), la storia interazionale, le funzioni-stimolo, le funzioni-risposta, etc..

Va evidenziato che vi è una partecipazione attiva dell’individuo ai suddetti processi di apprendimento e il suo contributo è messo in risalto dall’utilizzo di un paradigma del tipo S-O-R dove l’organismo "O" assume un valore identificabile, di volta in volta, nelle caratteristiche del SNA, nei pensieri, nelle convinzioni o nello stato emotivo del soggetto (Kanfer, 1970; Lazarus, 1971).

In tal modo, l’organismo acquisisce, con un meccanismo di feed-back, un notevole numero di comportamenti elementari che hanno un valore adattivo e di sopravvivenza in situazioni abbastanza semplici e che col tempo e in funzione delle ulteriori interazioni organismo-ambiente si strutturano, a un livello superiore, in insiemi organizzati, interconnessi e coordinati che si concretizzano in sequenze comportamentali e azioni, generalmente, adattive e con senso compiuto in relazione alla specifica situazione contingente. Man mano che lo sviluppo psicologico dell’individuo prosegue e aumenta il numero e la qualità delle interazioni con l’ambiente, soprattutto quelle con i propri simili, diventa preponderante un’altra modalità di acquisizione di comportamenti e abilità e di apprendimento più complesso e significativo che è quello basato sui principi del modeling.

Questo apprendimento si realizza attraverso l’imitazione e l’apprendimento vicario e determina l’acquisizione di comportamenti sociali , verbali e di natura covert ed è regolato cognitivamente (attenzione, memoria, codifica, etc. ) e la sua acquisizione e la sua esecuzione dipenderà molto da fattori ambientali (rinforzo, punizione, etc. ).

Inoltre, a questo stadio dello sviluppo vi è un aumento considerevole del numero e dei collegamenti dei comportamenti, azioni e sequenze comportamentali acquisite che determina l’emergere di un’organizzazione di insieme con proprietà nuove e con una relativa libertà dai fattori contingenti e spazio-temporali e l’instaurazione di meccanismi di controllo del tipo feed-foward.

Una variabile fondamentale nel determinare quest’ultimo tipo di comportamenti è l’emersione di una struttura percettivo-cognitiva con un sua strutturazione interna (identità personale, autostima, self-efficacy, autorealizzazione, autocoscienza, struttura di significato dell’esperienza, scopi esistenziali etc.) che, soprattutto nelle fasi avanzate dello sviluppo evolutivo e nell’età adulta, avrà un peso sempre maggiore nella determinazione del comportamento.
Il comportamento sarà sempre meno condizionato dalle contingenze ambientali e sarà guidato soprattutto, da un programma interno finalizzato al raggiungimento di scopi specifici, di mete e fini di carattere generale, di progetti di vita e di scopi esistenziali.

Quindi, le strutture cognitive, una volta che si sono strutturate, concorrono, insieme alle specifiche caratteristiche dell’evento-stimolo e della storia di apprendimento, alla co-determinazione del comportamento agito.
Il comportamento agito, a sua volta, determina degli effetti ambientali che se sono congruenti col sistema di convinzioni posseduto dal soggetto la rafforzano e aumentano, nel futuro, la sua probabilità di emissione,  mentre se sono incongruenti la indeboliscono.

Quindi, risulta evidente che i processi emotivo-cognitivi, i comportamenti e le contingenze organismo-ambiente si influenzano reciprocamente e quindi costituiscono un sistema a causalità circolare per cui qualsiasi cambiamento in una parte di esso determina analoghi cambiamenti in altre parti. La conseguenza pragmatica, a livello psicoterapeutico, di tale funzionamento sistemico è che gli interventi effettuati a un livello modificano anche gli altri livelli per cui:

  • un intervento a livello cognitivo (es.ristrutturazione cognitiva, etc.) apporta cambiamenti anche a livello emotivo e comportamentale;
  • un intervento a livello emotivo (ristrutturazione percettivo-sistematica, ri-attribuzione e ricodifica emozionale, etc.) apporta cambiamenti anche a livello cognitivo e comportamentale;
  • un intervento a livello comportamentale (training assertivo e delle abilità sociali, problem-solving, etc.) e psicofisiologico (training di biofeedback, training di rilassamento progressivo, etc,) apporta cambiamenti anche a livello emotivo e cognitivo.

Gli interventi psicoterapeutici, le strategie e le metodologie fanno riferimento al suddetto modello di funzionamento psicologico e da esso ne mutuano e ne derivano le tecniche e i metodi di intervento.

L’obiettivo fondamentale della psicoterapia cognitivo-comportamentale integrata è quello di determinare un equilibrio e un adattamento della persona nell’ambiente in cui vive e di promuoverne il benessere e svilupparne le potenzialità e la creatività.

L’assunto fondamentale nella psicoterapia cognitivo-comportamentale è che per risolvere problematiche emozionali e psicopatologiche occorre determinare dei cambiamenti attraverso l’attivazione di nuovi processi di apprendimento e la riorganizzazione degli schemi e delle regole cognitive e la attribuzione di nuove relazioni di significato personale in relazione a se stessi, agli altri e al mondo.

Il modello prevede una chiara distinzione delle diverse fasi del processo e in particolare per l’assessment e per le procedure di intervento.

 
Assessment

L’Assessment ha l’obiettivo di analizzare il repertorio comportamentale del soggetto, i comportamenti problematici e le relazioni contingenti con l’ambiente, lo stile cognitivo e dei modelli rappresentativi di sé e degli altri e l’indagine dei processi di attribuzione di significato e dei modelli interpretativi della realtà. Specificamente rileva:

  • il repertorio cognitivo-comportamentale e cioè:
  1. le abilità e disabilità apprese,
  2. il livello di presenza/assenza di abilità fondamentali per l’attivazione di specifiche sequenze comportamentali adattive ( abilità comunicative, abilità di coping, etc.);
  3. le abilità sociali, le abilità di autoregolazione, di autocontrollo, lo stile attributivo;
  4. i processi cognitivi distorti e le convinzioni irrazionali;
  • l’analisi delle caratteristiche di personalità funzionali ad eventuali interventi psicoterapeutici;
  • l’analisi del comportamento attuale per identificare i comportamenti sintomatici e i comportamenti adattivi;
  • la valutazione dei comportamenti disturbanti e disadattivi;
  • la definizione della base-line del comportamento disturbante rispetto a parametri quantitativi (frequenza, intensità, estensione, tempo, etc.);
  • l’analisi funzionale secondo il modello “A-B-C” per l’individuazione dei legami funzionali che controllano il comportamento, all’interno di un paradigma logico-temporale, tra gli eventi-stimolo------attribuzione di significato----------comportamento agito-----------conseguenze emotive, comportamentali e ambientali. Con A =Antecedente si indica l’evento-stimolo che precede il comportamento, con B = Behavior si indica il comportamento attivato in risposta ad A e con C = Conseguenze si indicano le conseguenze contingenti al comportamento. Ma per B, oltre alla risposta comportamentale, motoria e fisiologica, visibile e descrivibile, si indicano anche le risposte interne, emotive e cognitive, che la accompagnano.
    In questo caso occorrerà effettuare un’analisi funzionale cognitiva attraverso l’analisi del dialogo interno (Meichenbaum 1976) e delle immagini (Singer 1974) e delle modalità di codifica dell’aruousal in termini di emozioni (Valins 1970) e di pensieri (Beck).
    Infine, bisogna evidenziare che i pensieri e le emozioni possono essere anche degli A o degli C se determinano o sono attivati da stati interni o da specifici comportamenti.
  • l’analisi longitudinale per definire in che modo l’esperienza passata ha contribuito a determinare l’attuale situazione clinica
 
L'intervento psicoterapeutico
L’Intervento Psicoterapeutico ha l’obiettivo di strutturare nuovi comportamenti e ristrutturare le convinzioni,  le assunzioni e le attribuzioni di significato all’esperienza personale.

La procedura prevede un cambiamento delle contingenze organismo-ambiente attraverso una programmazione di esposizione controllata a specifiche costellazioni di stimoli e specifichi training addestrativi per la strutturazione di abilità. Inoltre prevede un aumento del livello di consapevolezza e di coerenza logica delle proprie teorie personali che riguardano il mondo, gli altri e la propria persona con i suoi attributi di valore, modificando, attraverso specifiche procedure di ristrutturazione cognitiva, le convinzioni, le valutazioni, i giudizi e le inferenze che controllano il dialogo interno e le immagini che sono gli immediati antecedenti delle autoistruzioni e quindi del comportamento agito.

Gli interventi possono essere di tipo verbale-cognitivo-semantico sul modello della terapia cognitiva e di tipo comportamentale e socio-cognitivo prevedendo esposizioni in vivo, modellamento partecipante e programmazione delle contingenze ambientali e prevedono:

  • l’estinzione dell’ansia condizionata, con tecniche di desensibilizzazione sistematica, di flooding, etc;
  • l’addestramento per lo sviluppo di abilità attraverso il social skills training, il progressive relaxation training, il biofeedback training, etc.;
  • la strutturazione di comportamenti ex-novo per es. nelle condizioni di disabilità con il modeling, il chaining, il prompting, il fading, il parent training etc.;
  • la modificazione delle contingenze organismo-ambiente;
  • la ristrutturazione cognitiva;
  • l’aumento del livello di autocoscienza e consapevolezza e di coerenza logica delle proprie teorie personali che riguardano il mondo, gli altri e la propria persona con i suoi attributi di valore.

Molti studiosi e ricercatori comportamentismi e cognitivisti hanno applicato con successo le tecniche cognitive e di behavior modification, direttamente derivate dai principi del condizionamento classico, del condizionamento operante, del modeling e dai postulati della psicoterapia cognitiva, alla terapia dei problemi comportamentali ed emotivi dei bambini e degli adulti dimostrando un loro alto livello di efficacia/efficienza e di specificità.

I primi terapeuti ad orientamento comportamentale furono Wolpe, Lazarus, Mayers, Eysenck, etc., per le problematiche e nevrosi degli adulti mentre Lovaas, Foxx, Kozloff, Ferster,Ayllon, Baer,Metz, Peterson, Touchette, Salomon, White, Zimmerman etc., si occuparono delle problematiche psicologiche dello sviluppo e dell’adolescenza ampliando l’interesse della terapia comportamentale ai problemi psicologici e cognitivi connessi con la disabilità e la devianza.

Numerose sono le ricerche che dimostrano l’alto livello di efficacia/efficienza e di specificità della psicoterapia cognitivo-comportamentale nella psicopatologia degli adulti e in particolare nelle problematiche dello sviluppo e dell’adolescenza. Chadwick e Birchwood (1994,1995,1996) hanno effettuato verificato l’efficacia dell’applicazione del modello cognitivo nei disturbi schizofrenici riuscendo ad identificare i costrutti teorici e le strategie e la procedura di intervento clinico e terapeutico efficace.

Beidel e Turner (1989,1991,1996, ) e Beidel e Turner e Cooley (1994) hanno messo a punto specifici trattamenti cognitivo-comportamentali per l’assessment e la terapia della ansia e della fobia sociale dimostrando la sua specificità ed efficacia sia negli adulti che nei bambini.

Diversi studi e ricerche sull’approccio cognitivo-comportamentale per il trattamento della rabbia/aggressività in persone con ritardo mentale hanno dimostrato una riduzione marcata dei comportamenti aggressivi (Benson et altri (1986), Murphy e Clare (1991), Rose (1996), Moore et altri (1997), Walzer e Cheseldine (1997), Lindsay et altre (1998), Rossiter et altri (1998), King et altri (1999), Howell et altri (2000), Rose et altri (2000).

Fals-Stewart et al. (1993), Lindsay et al. (1997), Hodgson et al. (1972) e Marks et al. (1975) hanno effettuato ricerche sul disturbo ossessivo-compulsivo nell'adulto e tutti hanno confrontato l'esposizione la prevenzione della risposta con il rilassamento muscolare progressivo, o da solo o elaborato come training di gestione dell'ansia. In tutti e quattro questi studi, l'esposizione la prevenzione della risposta si sono rivelati significativamente superiori al trattamento alternativo.

Studiando il disturbo d'ansia generalizzata negli adulti, Borkovec & Costello (1993) hanno trovato che la terapia cognitivo-comportamentale era significativamente superiore alla terapia non direttiva al post-test e al follow-up di un anno. Sanderson et al. (1998) hanno riportato i risultati di dodici sedute della terapia cognitivo-comportamentale di Barlow & Craske (1994) per il disturbo di panico applicate ad un campione clinico di 30 pazienti ambulatoriali a basso reddito di un centro medico all'interno di una città, la maggioranza dei quali erano latino-americani. E' stato osservato un miglioramento statisticamente significativo, sebbene i pazienti non migliorassero così tanto quanto quelli degli studi di riferimento.

Peterson & Halstead (1998) hanno esaminato il risultato di una forma abbreviata di terapia cognitivo-comportamentale (sei sedute invece delle solite venti) somministrata in una terapia di gruppo. I pazienti erano 210 affidati ad un programma di gestione della depressione in ambulatori di ospedali militari. Sono stati applicati criteri minimi di esclusione. Si è osservata una riduzione significativa tra il pre-test e il post-test nel Beck Depression Inventory (BDI), indipendentemente dal livello iniziale di gravità della depressione.

Persons et al. (1988, 1999) hanno pubblicato i risultati di due studi sulla terapia cognitivo-comportamentale per la depressione in campioni studiati nell'attività privata. Il trattamento è stato applicato in modo flessibile, e tenendo conto delle formulazioni individuali del caso, a clienti con una varietà di disturbi depressivi indipendentemente dalla comorbidità. Si è osservato un miglioramento significativo, e il risultato dei campioni con intenzione di trattamento (cioè includendo tutti i pazienti, sia che avessero completato il trattamento oppure no) era paragonabile a quello ottenuto negli studi di riferimento dell'efficacia. Comunque i pazienti privati ricevettero, in media, più sedute di quelli inseriti all'interno degli studi di efficacia.

Telch et al. (1995) hanno paragonato gli effetti di dodici sedute di terapia cognitivo-comportamentale con un gruppo di controllo che ha ricevuto lo stesso trattamento in una fase successiva. Le misurazioni della qualità della vita riguardavano la valutazione del deterioramento globale nel lavoro, nelle attività sociali, nel tempo libero, e nella vita familiare. Al post-test, i pazienti trattati hanno mostrato un miglioramento più significativo di quello dei pazienti in lista d'attesa in entrambe le misurazioni di adattamento globale, come anche nelle misurazioni della maggior parte delle sottoscale.

 
EMDR

L’EMDR è un approccio complesso ma ben strutturato che può essere integrato nei programmi terapeutici aumentandone l’efficacia. Considera tutti gli aspetti di una esperienza stressante o traumatica, sia quelli cognitivi ed emotivi che quelli comportamentali e neurofisiologici. Questa metodologia utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio eccitatorio/inibitorio, provocando così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali. Si basa su un processo neurofisiologico naturale, legato all’elaborazione accelerata dell’informazione. 

L’EMDR vede la patologia come informazione immagazzinata in modo non funzionale e si basa sull’ipotesi che c’è una componente fisiologica in ogni disturbo o disagio psicologico. Quando avviene un evento ”traumatico” viene disturbato l’equilibrio eccitatorio/inibitorio  necessario per l’elaborazione dell’informazione.  Si può affermare che questo provochi il ”congelamento” dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, nello stesso modo in cui è stato vissuto. Questa informazione ”congelata” e racchiusa nelle reti neurali non può essere elaborata e quindi continua a provocare patologie come il disturbo da stress post traumatico (PTSD) e altri disturbi psicologici. I movimenti oculari saccadici e ritmici usati con l’immagine traumatica, con le convinzioni negative ad essa legate e con il disagio emotivo facilitano la rielaborazione dell’informazione fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi. Nella risoluzione adattiva l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo positivo. Le ricerche condotte su vittime di violenze sessuali, di incidenti, di catastrofi naturali, ecc. indicano che il metodo permette una desensibilizzazione rapida nei confronti dei ricordi traumatici e una ristrutturazione cognitiva che porta a una riduzione significativa dei sintomi del paziente (stress emotivo, pensieri invadenti, ansia, flashbacks, incubi). Infatti, questa nuova forma di psicoterapia è stata rivolta inizialmente al trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress, ma attualmente è un metodo ampiamente utilizzato per il trattamento di varie patologie e disturbi psicologici. L’EMDR è usato fondamentalmente per accedere, neutralizzare e portare a una risoluzione adattiva i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi psicologici attuali del paziente. Queste esperienze traumatiche possono consistere in: Piccoli/grandi traumi subiti nell’età  dello sviluppo; Eventi stressanti  nell’ambito delle esperienze comuni (lutto, malattia cronica, perdite finanziarie, conflitti coniugali, cambiamenti); Eventi stressanti al di fuori dell’esperienza umana consueta quali disastri naturali (terremoti, inondazioni) o disastri provocati dall’uomo (incidenti gravi, torture, violenza).

 
Le terapie di terza generazione

L’attenzione della comunità clinica e scientifica internazionale è attualmente rivolta ad alcuni degli approcci terapeutici Cognitivo Comportamentali che sono stati definiti di terza generazione (Hayes, Luoma, Bond, Masuda e Lillis, 2006). Le terapie di terza generazione si caratterizzano per essere la naturale evoluzione della terapia che sino ad oggi ha accumulato una maggiore evidenza di efficacia, la terapia del comportamento. Viene mantenuto il legame con la psicologia come scienza di base, l’attenzione alla verifica sperimentale, ai progressi e al cambiamento del singolo paziente.

Il focus del trattamento si estende oltre alla soluzione di problemi specifici, fino a comprendere i disturbi della personalità e problematiche di tipo esistenziale. Questi trattamenti mirano alla costruzione di repertori ampi, flessibili ed efficaci più che all’eliminazione di problemi accuratamente definiti, ed enfatizzano la rilevanza degli argomenti che esaminano, sia per il clinico che per il cliente-utente. In questa tipologia di approccio viene privilegiata l’analisi della funzione del comportamento rispetto alla struttura (topografia), privilegiato il processo rispetto al contenuto.

Esempi di interventi di CBT di terza generazione sono: l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT, Hayes, 1999), la Dialectical Behavior Therapy (DBT; Linehan, 1993), la Functional Analytic Psychoterapy (FAP, Kohlenberg & Tsai, 1991), la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT; Segal, Williams, & Teasdale, 2001), gli approcci meta-cognitivi (Wells, 2000). In sintesi, piuttosto che focalizzarsi sul modificare direttamente gli eventi psicologici, questi interventi mirano a modificare la funzione di questi stessi eventi psicologici e la relazione dell’individuo con questi, attraverso strategie quali mindfulness, accettazione o defusione cognitiva (Teasdale, 2003). La discussione sulla nascita delle terapie di terza generazione e del loro crescente supporto empirico (outcome e processi) si focalizzerà sulla rilevanza per l’evoluzione e lo sviluppo della Behavior Therapy e dell’Applied e Clinical Behavior Analysis.
 
ACT: Acceptance and Commitment Therapy
ACT: la terapia comportamentale esperienziale. L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT pronunciata come una singola parola e non come iniziali; Hayes, Strosahl & Wilson, 1999) è una delle terapie del comportamento di terza generazione che più sono legate alla ricerca di base sul comportamento verbale e, più in generale, agli sviluppi della Behavior Analysis. Sviluppata all’interno di una cornice teorica e filosofica coerente, l’ACT è un intervento psicologico basato sull’evidenza sperimentale che usa strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento, per incrementare la flessibilità psicologica.

L’ACT è sia un modello teorico che una tecnologia per il cambiamento terapeutico sviluppata all’interno di un più vasto programma di ricerca sul linguaggio e la cognizione umana, che adotta l’epistemologia contestualistico-funzionale dell’analisi del comportamento (Moderato, Presti & Chase, 2002). La discussione sugli sviluppi teorici ed applicativi si estenderà anche alle recenti evoluzioni nella comunità clinico-scientifica italiana.

La visione che prevale sia tra i terapeuti che tra i pazienti è quella secondo cui un'esistenza più vitale può essere ottenuta vincendo i propri pensieri e sentimenti negativi. L’Acceptance and Commitment Therapy è un singolare approccio di modificazione del comportamento basato sulla Relational Frame Theory (RFT) che si occupa di questo problema modificando il contesto di base su cui si fondano le normali strategie di cambiamento, enfatizzando invece il ruolo dell'accettazione, della defusione e dei valori (Hayes, Stroshal e Wilson, 1999). La concezione centrale dell'ACT è che la sofferenza psicologica sia solitamente causata dall'interfaccia tra il linguaggio, la cognizione e il controllo dell'esperienza diretta sul comportamento. L'inflessibilità psicologica emerge dall'evitamento delle esperienze (experiential avoidance), dalla fusione cognitiva (cognitive fusion), dall’attaccamento al sé concettualizzato (conceptualized self), dalla perdita di contatto con il presente e dal risultante fallimento nell'intraprendere i necessari passi comportamentali in accordo con i valori centrali (values). L’ACT, forse più di ogni altro approccio terapeutico, esprime chiaramente questo concetto: la patologia non è nella topografia del comportamento ma nella funzione. Non si chiede al paziente di cambiare perché il suo comportamento non è corretto ma piuttosto di persistere o di cambiare comportamento per arrivare ai suoi obiettivi e per essere in contatto con le cose importanti per lui. Saranno queste cose a dare una direzione e non un preconcetto di patologia.

Mindfulness in psicoterapia e in psicologia: prospettive a confronto
In questi ultimi anni, la mindfulness è divenuta oggetto di crescente attenzione da parte della psicologia clinica e, in misura minore, della psicologia di base. Da un lato è possibile osservare un crescente impiego della mindfulness in diverse forme di CBT e, dall’altro, stanno emergendo le prime concettualizzazioni in termini di processi di base. Tra le più importanti forme di CBT che utilizzano la mindfulness se ne trovano alcune che sono state definite ‘integrazioniste’ e altre che invece sono state definite ‘incorporazioniste’ (Giommi, 2006). Le prime si caratterizzano per l’uso considerevole della pratica meditativa, che viene considerata la componente fondamentale e principale della terapia stessa.

Tra queste troviamo la Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR; Kabat-Zinn, 1990) e le più recenti Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT; Segal, Teasdale e Williams, 2002) e Mindfulness Based Relapse Prevention (MBRP; Marlatt, 2007). Le seconde si caratterizzano invece perché in esse la mindfulness non si identifica tout court con la pratica meditativa formale. Tra queste l’Acceptance and Committment Therapy (ACT; Hayes, Stroshal e Wilson, 1999), la Dialectical Behavior Therapy (DBT; Linehan, 1993), e gli approcci metacognitivi (Wells, 2002). È importante che all’entusiasmo dal punto di vista clinico e alla ricerca sugli outcome si affianchi una teorizzazione e un’analisi sistematica in termini di processi di base coinvolti nella mindfulness (Bishop et al, 2004; Hayes e Pistorello, 2007). Da questo punto di vista possiamo trovare due principali linee di ricerca, una cognitivista che si lega allo studio dei processi attentivi e alla processazione dell’informazione, e una comportamentale che si basa su una teoria contestualista del linguaggio e della cognizione, la Relational Frame Theory. 

FAP: Functional Analytic Psychotherapy
La psicoterapia Analitico-Funzionale (Functional Analytic Psychotherapy-FAP) si basa sull’analisi comportamentale per creare nella relazione terapeutica uno spazio di consapevolezza, coraggio e amore, che costituisca il veicolo principale per il cambiamento e la cura del paziente. La FAP, sviluppata da Kohlenberg e Tsai (1991), è stata creata per essere utilizzata insieme agli approcci comportamentali tradizionali o quando l’abilità del paziente nel relazionarsi agli altri è al centro delle difficoltà cliniche. Pertanto la principale applicazione della FAP si rivolge ai disturbi del Sé. Assunzione centrale nella FAP è che molta della psicopatologia e della sofferenza umana sia di natura interpersonale, e che la relazione terapeutica sia cruciale nel favorire i miglioramenti clinici. Da un punto di vista psicopatologico i problemi che il paziente presenta nelle relazioni interpersonali si riflettono nella relazione terapeutica e questi saranno il focus di interesse da parte del terapeuta. La FAP ipotizza, quindi, che durante la terapia si possano acquisire comportamenti nuovi e più funzionali proprio attraverso le risposte del terapeuta ai problemi del paziente che si manifestano in sessione. Nel Setting clinico il terapeuta presta molta attenzione alla comparsa dei cosiddetti Comportamenti Clinicamente Rilevanti (CRB) del paziente i quali comprendono: comportamenti problematici, miglioramenti nelle modalità comportamentali e le descrizioni del paziente su quali variabili possono influenzare il suo comportamento. Concetti fondamentali della FAP sono l’analisi funzionale ed il rinforzo. L’Analisi Funzionale risponde alla domanda su quale sia la funzione di un comportamento, essa richiede la comprensione della storia specifica di ogni paziente e consente di definire la funzione di comportamenti fenomenologicamente simili. Il Rinforzo, considerato un fenomeno omnipresente nella vita quotidiana, rappresenta una spinta decisiva e fondamentale per il compimento di un’azione e si configura come l’agente di cambiamento principale in psicoterapia. Si può affermare che la FAP fornisce un insieme di linee-guida che definiscono i modi di osservare, evocare e rinforzare in modo naturale i comportamenti rilevanti dal punto di vista clinico, cosicché i cambiamenti positivi che emergono durante il colloquio possano essere generalizzati alla vita quotidiana. 

DBT: Dialectical Behavior Therapy
La Terapia Dialettico Comportamentale (Dialectical Behavior Therapy - DBT) si colloca tra gli interventi CBT di terza generazione e si configura come un terapia di comprovata efficacia (evidence based). Sviluppata da Marsha Linehan (1993), per la terapia del disturbo borderline di personalità, all’interno di una cornice comportamentale, utilizza ampiamente anche tecniche cognitive. La DBT si rivolge a problematiche legate alla gestione o regolazione delle emozioni, ma si rivela efficace anche nei casi di abuso o dipendenza da alcol o sostanze; Nei disturbi del comportamento alimentare e con ragazzi adolescenti che presentano problematiche di tipo impulsivo, suicidario o autolesionistico. All’interno del programma terapeutico, la DBT fornisce una definizione operazionale di mindfulness espressa in termini comportamentali. Nel praticare la mindfulness è necessario concentrare l’attenzione e la consapevolezza sulle esperienze del momento, lasciando scorrere i pensieri e dedicandosi completamente a se stessi nel “qui ed ora”. Si ipotizza che la mindfulness aiuti a ridurre notevolmente la vulnerabilità agli stimoli emotivi negativi, con un conseguente aumento nella percezione di controllo della propria mente. Oltre alla mindfulness la DBT prevede vari training di abilità: Regolazione emozionale; Tolleranza del disagio ed efficacia interpersonale. L’acquisizione di queste abilità aiuta i pazienti a comprendere le emozioni (identificandone le funzioni e dando loro un nome) riducendo quelle indesiderate e incrementando quelle positive, inoltre consente di sviluppare una gamma di strategie per superare i momenti critici e migliorare le competenze relazionali. In sintesi si può sostenere che la DBT rappresenta un trattamento strutturato volto ad assolvere cinque principali funzioni: Migliorare la abilità dei pazienti; Accrescerne la motivazione rimuovendo i fattori che impediscono i comportamenti funzionali e incrementando il rinforzo di questi ultimi; Assicurare la generalizzazione delle abilità al di fuori del setting terapeutico; Strutturare l’ambiente in modo da promuovere l’uso continuo di comportamenti funzionali; Aumentare le abilità del terapeuta e la sua motivazione a trattare efficacemente i pazienti. Sia nella concettualizzazione del disturbo, che nella terapia, il focus è sulla relazione tra il processo emotivo e il contesto ambientale.

MCT: Metacognitive Therapy
La terapia metacognitiva (Metacognitive Therapy - MCT) si colloca tra le terapie cognitive, ma si differenzia dagli approcci classici poiché non pone attenzione alle distorsioni cognitive bensì su uno specifico pattern che prende il nome di Sindrome Cognitivo-Attentiva (Cognitive Attentional Syndrome - CAS). Essa si manifesta con fenomeni di preoccupazione, ruminazione, focalizzazione dell’attenzione e con l’uso di strategie di coping disfunzionali. Il CAS rappresenta uno stile di pensiero “dannoso” che attiva dei disturbi psicologici. La terapia metacognitiva introduce un’importante distinzione tra cognizione e metacognizione, focalizzando il lavoro terapeutico su quest’ultimo aspetto. La metacognizione rappresenta il pensiero applicato al pensiero: monitora, controlla e valuta il processo e il prodotto della coscienza; Diventa dunque responsabile di ciò a cui prestiamo attenzione, conferisce forma alle nostre valutazioni e determina le strategie che utilizziamo per regolare pensieri ed emozioni. Nell’approccio MCT si assume che le credenze metacognitive (idee e teorie che ogni persona ha in merito al contenuto dei propri pensieri) influenzino significativamente i propri pensieri, i propri sintomi e le proprie emozioni negative, in quanto rappresentano la forza motrice alla base di uno stile di pensiero che causa sofferenza emotiva. Il trattamento si focalizza sulla rimozione del CAS attraverso specifiche tecniche. Tuttavia è di cruciale importanza, potenziare la conoscenza procedurale dei pazienti ovvero formarli in modo che sviluppino nuove abilità per rispondere agli eventi interni, in maniera più flessibile e decentrata.