Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione Cookie Policy

Le terapie di terza generazione

L’attenzione della comunità clinica e scientifica internazionale è attualmente rivolta ad alcuni degli approcci terapeutici Cognitivo Comportamentali che sono stati definiti di terza generazione (Hayes, Luoma, Bond, Masuda e Lillis, 2006). Le terapie di terza generazione si caratterizzano per essere la naturale evoluzione della terapia che sino ad oggi ha accumulato una maggiore evidenza di efficacia, la terapia del comportamento. Viene mantenuto il legame con la psicologia come scienza di base, l’attenzione alla verifica sperimentale, ai progressi e al cambiamento del singolo paziente.
Il focus del trattamento si estende oltre alla soluzione di problemi specifici, fino a comprendere i disturbi della personalità e problematiche di tipo esistenziale. Questi trattamenti mirano alla costruzione di repertori ampi, flessibili ed efficaci più che all’eliminazione di problemi accuratamente definiti, ed enfatizzano la rilevanza degli argomenti che esaminano, sia per il clinico che per il cliente-utente. In questa tipologia di approccio viene privilegiata l’analisi della funzione del comportamento rispetto alla struttura (topografia), privilegiato il processo rispetto al contenuto.
Esempi di interventi di CBT di terza generazione sono: l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT, Hayes, 1999), la Dialectical Behavior Therapy (DBT; Linehan, 1993), la Functional Analytic Psychoterapy (FAP, Kohlenberg & Tsai, 1991), la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT; Segal, Williams, & Teasdale, 2001), gli approcci meta-cognitivi (Wells, 2000). In sintesi, piuttosto che focalizzarsi sul modificare direttamente gli eventi psicologici, questi interventi mirano a modificare la funzione di questi stessi eventi psicologici e la relazione dell’individuo con questi, attraverso strategie quali mindfulness, accettazione o defusione cognitiva (Teasdale, 2003). La discussione sulla nascita delle terapie di terza generazione e del loro crescente supporto empirico (outcome e processi) si focalizzerà sulla rilevanza per l’evoluzione e lo sviluppo della Behavior Therapy e dell’Applied e Clinical Behavior Analysis.


ACT: Acceptance and Commitment Therapy

ACT: la terapia comportamentale esperienziale. L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT pronunciata come una singola parola e non come iniziali; Hayes, Strosahl & Wilson, 1999) è una delle terapie del comportamento di terza generazione che più sono legate alla ricerca di base sul comportamento verbale e, più in generale, agli sviluppi della Behavior Analysis. Sviluppata all’interno di una cornice teorica e filosofica coerente, l’ACT è un intervento psicologico basato sull’evidenza sperimentale che usa strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento, per incrementare la flessibilità psicologica.
L’ACT è sia un modello teorico che una tecnologia per il cambiamento terapeutico sviluppata all’interno di un più vasto programma di ricerca sul linguaggio e la cognizione umana, che adotta l’epistemologia contestualistico-funzionale dell’analisi del comportamento (Moderato, Presti & Chase, 2002). La discussione sugli sviluppi teorici ed applicativi si estenderà anche alle recenti evoluzioni nella comunità clinico-scientifica italiana.
La visione che prevale sia tra i terapeuti che tra i pazienti è quella secondo cui un'esistenza più vitale può essere ottenuta vincendo i propri pensieri e sentimenti negativi. L’Acceptance and Commitment Therapy è un singolare approccio di modificazione del comportamento basato sulla Relational Frame Theory (RFT) che si occupa di questo problema modificando il contesto di base su cui si fondano le normali strategie di cambiamento, enfatizzando invece il ruolo dell'accettazione, della defusione e dei valori (Hayes, Stroshal e Wilson, 1999). La concezione centrale dell'ACT è che la sofferenza psicologica sia solitamente causata dall'interfaccia tra il linguaggio, la cognizione e il controllo dell'esperienza diretta sul comportamento. L'inflessibilità psicologica emerge dall'evitamento delle esperienze (experiential avoidance), dalla fusione cognitiva (cognitive fusion), dall’attaccamento al sé concettualizzato (conceptualized self), dalla perdita di contatto con il presente e dal risultante fallimento nell'intraprendere i necessari passi comportamentali in accordo con i valori centrali (values). L’ACT, forse più di ogni altro approccio terapeutico, esprime chiaramente questo concetto: la patologia non è nella topografia del comportamento ma nella funzione. Non si chiede al paziente di cambiare perché il suo comportamento non è corretto ma piuttosto di persistere o di cambiare comportamento per arrivare ai suoi obiettivi e per essere in contatto con le cose importanti per lui. Saranno queste cose a dare una direzione e non un preconcetto di patologia.

Mindfulness in psicoterapia e in psicologia: prospettive a confronto

In questi ultimi anni, la mindfulness è divenuta oggetto di crescente attenzione da parte della psicologia clinica e, in misura minore, della psicologia di base. Da un lato è possibile osservare un crescente impiego della mindfulness in diverse forme di CBT e, dall’altro, stanno emergendo le prime concettualizzazioni in termini di processi di base. Tra le più importanti forme di CBT che utilizzano la mindfulness se ne trovano alcune che sono state definite ‘integrazioniste’ e altre che invece sono state definite ‘incorporazioniste’ (Giommi, 2006). Le prime si caratterizzano per l’uso considerevole della pratica meditativa, che viene considerata la componente fondamentale e principale della terapia stessa.
Tra queste troviamo la Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR; Kabat-Zinn, 1990) e le più recenti Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT; Segal, Teasdale e Williams, 2002) e Mindfulness Based Relapse Prevention (MBRP; Marlatt, 2007). Le seconde si caratterizzano invece perché in esse la mindfulness non si identifica tout court con la pratica meditativa formale. Tra queste l’Acceptance and Committment Therapy (ACT; Hayes, Stroshal e Wilson, 1999), la Dialectical Behavior Therapy (DBT; Linehan, 1993), e gli approcci metacognitivi (Wells, 2002). È importante che all’entusiasmo dal punto di vista clinico e alla ricerca sugli outcome si affianchi una teorizzazione e un’analisi sistematica in termini di processi di base coinvolti nella mindfulness (Bishop et al, 2004; Hayes e Pistorello, 2007). Da questo punto di vista possiamo trovare due principali linee di ricerca, una cognitivista che si lega allo studio dei processi attentivi e alla processazione dell’informazione, e una comportamentale che si basa su una teoria contestualista del linguaggio e della cognizione, la Relational Frame Theory.

FAP: Functional Analytic Psychotherapy
La psicoterapia Analitico-Funzionale (Functional Analytic Psychotherapy-FAP) si basa sull’analisi comportamentale per creare nella relazione terapeutica uno spazio di consapevolezza, coraggio e amore, che costituisca il veicolo principale per il cambiamento e la cura del paziente. La FAP, sviluppata da Kohlenberg e Tsai (1991), è stata creata per essere utilizzata insieme agli approcci comportamentali tradizionali o quando l’abilità del paziente nel relazionarsi agli altri è al centro delle difficoltà cliniche. Pertanto la principale applicazione della FAP si rivolge ai disturbi del Sé. Assunzione centrale nella FAP è che molta della psicopatologia e della sofferenza umana sia di natura interpersonale, e che la relazione terapeutica sia cruciale nel favorire i miglioramenti clinici. Da un punto di vista psicopatologico i problemi che il paziente presenta nelle relazioni interpersonali si riflettono nella relazione terapeutica e questi saranno il focus di interesse da parte del terapeuta. La FAP ipotizza, quindi, che durante la terapia si possano acquisire comportamenti nuovi e più funzionali proprio attraverso le risposte del terapeuta ai problemi del paziente che si manifestano in sessione. Nel Setting clinico il terapeuta presta molta attenzione alla comparsa dei cosiddetti Comportamenti Clinicamente Rilevanti (CRB) del paziente i quali comprendono: comportamenti problematici, miglioramenti nelle modalità comportamentali e le descrizioni del paziente su quali variabili possono influenzare il suo comportamento. Concetti fondamentali della FAP sono l’analisi funzionale ed il rinforzo. L’Analisi Funzionale risponde alla domanda su quale sia la funzione di un comportamento, essa richiede la comprensione della storia specifica di ogni paziente e consente di definire la funzione di comportamenti fenomenologicamente simili. Il Rinforzo, considerato un fenomeno omnipresente nella vita quotidiana, rappresenta una spinta decisiva e fondamentale per il compimento di un’azione e si configura come l’agente di cambiamento principale in psicoterapia. Si può affermare che la FAP fornisce un insieme di linee-guida che definiscono i modi di osservare, evocare e rinforzare in modo naturale i comportamenti rilevanti dal punto di vista clinico, cosicché i cambiamenti positivi che emergono durante il colloquio possano essere generalizzati alla vita quotidiana.

DBT: Dialectical Behavior Therapy
La Terapia Dialettico Comportamentale (Dialectical Behavior Therapy - DBT) si colloca tra gli interventi CBT di terza generazione e si configura come un terapia di comprovata efficacia (evidence based). Sviluppata da Marsha Linehan (1993), per la terapia del disturbo borderline di personalità, all’interno di una cornice comportamentale, utilizza ampiamente anche tecniche cognitive. La DBT si rivolge a problematiche legate alla gestione o regolazione delle emozioni, ma si rivela efficace anche nei casi di abuso o dipendenza da alcol o sostanze; Nei disturbi del comportamento alimentare e con ragazzi adolescenti che presentano problematiche di tipo impulsivo, suicidario o autolesionistico. All’interno del programma terapeutico, la DBT fornisce una definizione operazionale di mindfulness espressa in termini comportamentali. Nel praticare la mindfulness è necessario concentrare l’attenzione e la consapevolezza sulle esperienze del momento, lasciando scorrere i pensieri e dedicandosi completamente a se stessi nel “qui ed ora”. Si ipotizza che la mindfulness aiuti a ridurre notevolmente la vulnerabilità agli stimoli emotivi negativi, con un conseguente aumento nella percezione di controllo della propria mente. Oltre alla mindfulness la DBT prevede vari training di abilità: Regolazione emozionale; Tolleranza del disagio ed efficacia interpersonale. L’acquisizione di queste abilità aiuta i pazienti a comprendere le emozioni (identificandone le funzioni e dando loro un nome) riducendo quelle indesiderate e incrementando quelle positive, inoltre consente di sviluppare una gamma di strategie per superare i momenti critici e migliorare le competenze relazionali. In sintesi si può sostenere che la DBT rappresenta un trattamento strutturato volto ad assolvere cinque principali funzioni: Migliorare la abilità dei pazienti; Accrescerne la motivazione rimuovendo i fattori che impediscono i comportamenti funzionali e incrementando il rinforzo di questi ultimi; Assicurare la generalizzazione delle abilità al di fuori del setting terapeutico; Strutturare l’ambiente in modo da promuovere l’uso continuo di comportamenti funzionali; Aumentare le abilità del terapeuta e la sua motivazione a trattare efficacemente i pazienti. Sia nella concettualizzazione del disturbo, che nella terapia, il focus è sulla relazione tra il processo emotivo e il contesto ambientale.

MCT: Metacognitive Therapy
La terapia metacognitiva (Metacognitive Therapy - MCT) si colloca tra le terapie cognitive, ma si differenzia dagli approcci classici poiché non pone attenzione alle distorsioni cognitive bensì su uno specifico pattern che prende il nome di Sindrome Cognitivo-Attentiva (Cognitive Attentional Syndrome - CAS). Essa si manifesta con fenomeni di preoccupazione, ruminazione, focalizzazione dell’attenzione e con l’uso di strategie di coping disfunzionali. Il CAS rappresenta uno stile di pensiero “dannoso” che attiva dei disturbi psicologici. La terapia metacognitiva introduce un’importante distinzione tra cognizione e metacognizione, focalizzando il lavoro terapeutico su quest’ultimo aspetto. La metacognizione rappresenta il pensiero applicato al pensiero: monitora, controlla e valuta il processo e il prodotto della coscienza; Diventa dunque responsabile di ciò a cui prestiamo attenzione, conferisce forma alle nostre valutazioni e determina le strategie che utilizziamo per regolare pensieri ed emozioni. Nell’approccio MCT si assume che le credenze metacognitive (idee e teorie che ogni persona ha in merito al contenuto dei propri pensieri) influenzino significativamente i propri pensieri, i propri sintomi e le proprie emozioni negative, in quanto rappresentano la forza motrice alla base di uno stile di pensiero che causa sofferenza emotiva. Il trattamento si focalizza sulla rimozione del CAS attraverso specifiche tecniche. Tuttavia è di cruciale importanza, potenziare la conoscenza procedurale dei pazienti ovvero formarli in modo che sviluppino nuove abilità per rispondere agli eventi interni, in maniera più flessibile e decentrata.